La crisi economica e finanziaria globale del 2011, però, ha, in parte, rovesciato questo schema. Ha, cioè, trasformato l'identità "provvisoria" degli italiani in un limite, piuttosto che in un "vantaggio" adattivo e competitivo.La "sfiducia pubblica" e la bassa densità di "senso civico", in particolare, sono divenuti ostacoli. Vincoli difficili da sostenere, di fronte alla necessità di coesione e di coinvolgimento necessaria ad affrontare non solo i costi economici e fiscali, ma anche il rischio della dispersione "centrifuga" della società. La stessa vocazione a "fare da soli", ad arrangiarsi a livello locale e familiare appare un problema, in una crisi che vede confrontarsi e scontrarsi le economie 'nazionalì nel teatro europeo e globale.Oggi, in altri termini, appare difficile salvarsi da soli, "nonostante" lo Stato. Senza senso di "cooperazione". In altri termini: senza civismo.Un basso grado di civismo e di fiducia nelle istituzioni, infatti, indebolisce la legittimità dello Stato non solo a livello interno, ma internazionale. A maggior ragione se si accompagna a un atteggiamento di distacco, per non dire disprezzo del sistema politico e dei partiti. D'altronde, in Italia, il sistema partitico è identificato con lo Stato nazionale.Da ciò derivano conseguenze pesanti, nelle sedi negoziali internazionali: la Ue, in particolare. Ma anche sui mercati, che percepiscono la debolezza del sistema partitico e del governo come un moltiplicatore della crisi economica.In un certo senso, il famigerato spread, entrato nel linguaggio comune durante la crisi finanziaria degli ultimi mesi, non definisce solo il differenziale tra i titoli di Stato italiani e tedeschi. È un indice della incredibilità stessa dello Stato (e del sistema politico), garante della nostra economia di fronte alle istituzioni e ai mercati, in ambito internazionale.Da ciò, una seconda conseguenza, che riguarda - e indebolisce - le radici stesse dell'identità italiana. Infatti, se la nostra capacità di adattamento non ci permette più di reagire alla crisi e alle difficoltà economiche, allora la nostra stessa identità sociale viene messa in discussione.Perché l'arte di arrangiarsi, di trasformare i problemi in opportunità è costitutiva del nostro "specifico" nazionale. Se non ci aiuta a risollevarci di fronte alle avversità, allora anche la fiducia in noi stessi si sfarina. Di qui il rischio di una spirale viziosa e auto-deleteria. Infatti, se le nostre arti e le nostre virtù nazionali non ci permettono, come in altre fasi, di superare la crisi, la crisi stessa ne corrode l'efficacia e la forza. Ne converte gli effetti: da virtù in vizi.Lo stesso discorso vale per i nostri particolarismi e per le nostre differenze territoriali, che in questa fase rischiano di diventare fratture, elementi di divisione. Perché i costi della crisi sono elevati e lo Stato non è in grado di mediare, tanto meno, di imporre la propria autorità, ma deve comunque ridurre le risorse e i margini di autonomia degli enti periferici. I localismi rischiano, così, di produrre tensioni, di divenire dissolutivi.Piuttosto che contro il contesto "nazionale", i contesti locali minacciano di porsi in contrasto reciproco. Tra di loro. Modificando il modello tradizionale e sperimentato, che ci propone come un popolo di e italiani. Milanesi e italiani. Napoletani e italiani. Bolognesi e italiani. Marchigiani e italiani. In direzione di un popolo di milanesi, napoletani, bolognesi, marchigiani. E basta. Non siamo, ovviamente, alla dissoluzione del nostro modello. Tanto meno dell'Italia. Tuttavia, in questa fase assai più che in passato, una società senza Stato rischia di scomporsi. E l'arte di arrangiarsi, senza civismo, non ci salverà. Vi consiglio ragazzi di vedere un film di Luigi Zampa come pratogonista Alberto Sordi,la vera essenza dell'epoca neorealista.
venerdì 7 febbraio 2014
L'ARTE DI ARRANGIARSI
Questo è un paese di "italiani nonostante". Nonostante tutto, italiani. Il 2011 non è
stato un anno come gli altri. Per l'Italia e sul piano globale è stato
segnato da una crisi profonda, che ha scosso l'intero sistema delle
relazioni e dei riferimenti territoriali, al punto da mettere in
discussione le basi stesse della nostra identità nazionale, rendendole
meno efficaci e, in una certa misura, più fragili. Vale la pena di
riflettere ulteriormente, anche se brevemente, sui mutamenti economici e
politici avvenuti negli ultimi mesi, ma soprattutto sulle conseguenze
che possono avere sull'identità territoriale degli italiani. E
viceversa.Va detto, in premessa, che la "debolezza" e la frammentazione
dell'identità nazionale, che caratterizzano il nostro Paese, non
costituiscono necessariamente un problema. Possono, al contrario,
costituire anch'esse una risorsa, in quanto rendono più facile
l'adattamento culturale, ma anche operativo, in tempi di fluidità dei
riferimenti territoriali. In un'epoca, cioè, nella quale sono cambiati e
continuano a cambiare le cornici istituzionali, all'interno e
all'esterno degli Stati nazionali.Un'identità articolata e flessibile, come quella italiana, è certamente
in grado di adattarsi a questi mutamenti molto meglio di altri paesi,
dotati di riferimenti di valore e istituzionali forti e definiti, ma
caratterizzati, anche per questo, da maggiore rigidità, sul piano
sociale e culturale.
La crisi economica e finanziaria globale del 2011, però, ha, in parte, rovesciato questo schema. Ha, cioè, trasformato l'identità "provvisoria" degli italiani in un limite, piuttosto che in un "vantaggio" adattivo e competitivo.La "sfiducia pubblica" e la bassa densità di "senso civico", in particolare, sono divenuti ostacoli. Vincoli difficili da sostenere, di fronte alla necessità di coesione e di coinvolgimento necessaria ad affrontare non solo i costi economici e fiscali, ma anche il rischio della dispersione "centrifuga" della società. La stessa vocazione a "fare da soli", ad arrangiarsi a livello locale e familiare appare un problema, in una crisi che vede confrontarsi e scontrarsi le economie 'nazionalì nel teatro europeo e globale.Oggi, in altri termini, appare difficile salvarsi da soli, "nonostante" lo Stato. Senza senso di "cooperazione". In altri termini: senza civismo.Un basso grado di civismo e di fiducia nelle istituzioni, infatti, indebolisce la legittimità dello Stato non solo a livello interno, ma internazionale. A maggior ragione se si accompagna a un atteggiamento di distacco, per non dire disprezzo del sistema politico e dei partiti. D'altronde, in Italia, il sistema partitico è identificato con lo Stato nazionale.Da ciò derivano conseguenze pesanti, nelle sedi negoziali internazionali: la Ue, in particolare. Ma anche sui mercati, che percepiscono la debolezza del sistema partitico e del governo come un moltiplicatore della crisi economica.In un certo senso, il famigerato spread, entrato nel linguaggio comune durante la crisi finanziaria degli ultimi mesi, non definisce solo il differenziale tra i titoli di Stato italiani e tedeschi. È un indice della incredibilità stessa dello Stato (e del sistema politico), garante della nostra economia di fronte alle istituzioni e ai mercati, in ambito internazionale.Da ciò, una seconda conseguenza, che riguarda - e indebolisce - le radici stesse dell'identità italiana. Infatti, se la nostra capacità di adattamento non ci permette più di reagire alla crisi e alle difficoltà economiche, allora la nostra stessa identità sociale viene messa in discussione.Perché l'arte di arrangiarsi, di trasformare i problemi in opportunità è costitutiva del nostro "specifico" nazionale. Se non ci aiuta a risollevarci di fronte alle avversità, allora anche la fiducia in noi stessi si sfarina. Di qui il rischio di una spirale viziosa e auto-deleteria. Infatti, se le nostre arti e le nostre virtù nazionali non ci permettono, come in altre fasi, di superare la crisi, la crisi stessa ne corrode l'efficacia e la forza. Ne converte gli effetti: da virtù in vizi.Lo stesso discorso vale per i nostri particolarismi e per le nostre differenze territoriali, che in questa fase rischiano di diventare fratture, elementi di divisione. Perché i costi della crisi sono elevati e lo Stato non è in grado di mediare, tanto meno, di imporre la propria autorità, ma deve comunque ridurre le risorse e i margini di autonomia degli enti periferici. I localismi rischiano, così, di produrre tensioni, di divenire dissolutivi.Piuttosto che contro il contesto "nazionale", i contesti locali minacciano di porsi in contrasto reciproco. Tra di loro. Modificando il modello tradizionale e sperimentato, che ci propone come un popolo di e italiani. Milanesi e italiani. Napoletani e italiani. Bolognesi e italiani. Marchigiani e italiani. In direzione di un popolo di milanesi, napoletani, bolognesi, marchigiani. E basta. Non siamo, ovviamente, alla dissoluzione del nostro modello. Tanto meno dell'Italia. Tuttavia, in questa fase assai più che in passato, una società senza Stato rischia di scomporsi. E l'arte di arrangiarsi, senza civismo, non ci salverà. Vi consiglio ragazzi di vedere un film di Luigi Zampa come pratogonista Alberto Sordi,la vera essenza dell'epoca neorealista.
La crisi economica e finanziaria globale del 2011, però, ha, in parte, rovesciato questo schema. Ha, cioè, trasformato l'identità "provvisoria" degli italiani in un limite, piuttosto che in un "vantaggio" adattivo e competitivo.La "sfiducia pubblica" e la bassa densità di "senso civico", in particolare, sono divenuti ostacoli. Vincoli difficili da sostenere, di fronte alla necessità di coesione e di coinvolgimento necessaria ad affrontare non solo i costi economici e fiscali, ma anche il rischio della dispersione "centrifuga" della società. La stessa vocazione a "fare da soli", ad arrangiarsi a livello locale e familiare appare un problema, in una crisi che vede confrontarsi e scontrarsi le economie 'nazionalì nel teatro europeo e globale.Oggi, in altri termini, appare difficile salvarsi da soli, "nonostante" lo Stato. Senza senso di "cooperazione". In altri termini: senza civismo.Un basso grado di civismo e di fiducia nelle istituzioni, infatti, indebolisce la legittimità dello Stato non solo a livello interno, ma internazionale. A maggior ragione se si accompagna a un atteggiamento di distacco, per non dire disprezzo del sistema politico e dei partiti. D'altronde, in Italia, il sistema partitico è identificato con lo Stato nazionale.Da ciò derivano conseguenze pesanti, nelle sedi negoziali internazionali: la Ue, in particolare. Ma anche sui mercati, che percepiscono la debolezza del sistema partitico e del governo come un moltiplicatore della crisi economica.In un certo senso, il famigerato spread, entrato nel linguaggio comune durante la crisi finanziaria degli ultimi mesi, non definisce solo il differenziale tra i titoli di Stato italiani e tedeschi. È un indice della incredibilità stessa dello Stato (e del sistema politico), garante della nostra economia di fronte alle istituzioni e ai mercati, in ambito internazionale.Da ciò, una seconda conseguenza, che riguarda - e indebolisce - le radici stesse dell'identità italiana. Infatti, se la nostra capacità di adattamento non ci permette più di reagire alla crisi e alle difficoltà economiche, allora la nostra stessa identità sociale viene messa in discussione.Perché l'arte di arrangiarsi, di trasformare i problemi in opportunità è costitutiva del nostro "specifico" nazionale. Se non ci aiuta a risollevarci di fronte alle avversità, allora anche la fiducia in noi stessi si sfarina. Di qui il rischio di una spirale viziosa e auto-deleteria. Infatti, se le nostre arti e le nostre virtù nazionali non ci permettono, come in altre fasi, di superare la crisi, la crisi stessa ne corrode l'efficacia e la forza. Ne converte gli effetti: da virtù in vizi.Lo stesso discorso vale per i nostri particolarismi e per le nostre differenze territoriali, che in questa fase rischiano di diventare fratture, elementi di divisione. Perché i costi della crisi sono elevati e lo Stato non è in grado di mediare, tanto meno, di imporre la propria autorità, ma deve comunque ridurre le risorse e i margini di autonomia degli enti periferici. I localismi rischiano, così, di produrre tensioni, di divenire dissolutivi.Piuttosto che contro il contesto "nazionale", i contesti locali minacciano di porsi in contrasto reciproco. Tra di loro. Modificando il modello tradizionale e sperimentato, che ci propone come un popolo di e italiani. Milanesi e italiani. Napoletani e italiani. Bolognesi e italiani. Marchigiani e italiani. In direzione di un popolo di milanesi, napoletani, bolognesi, marchigiani. E basta. Non siamo, ovviamente, alla dissoluzione del nostro modello. Tanto meno dell'Italia. Tuttavia, in questa fase assai più che in passato, una società senza Stato rischia di scomporsi. E l'arte di arrangiarsi, senza civismo, non ci salverà. Vi consiglio ragazzi di vedere un film di Luigi Zampa come pratogonista Alberto Sordi,la vera essenza dell'epoca neorealista.
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