giovedì 9 gennaio 2014

LE CICATRICI DELLA VITA

Oggi più di prima,questa vita frenetica ci porta ad un introspezione, l'atto in cui vi è l'osservazione diretta e l'analisi della propria interiorità rappresentata da sentimenti,desideri,prodotti dal nostro pensiero stesso,come pure il senso d'identità di una persona.Proprio su quest'ultimo punto vorrei soffermarmi e basare le mie tesi anticonformistiche sulla societa' odierna:dicevamo osservazione e analisi appunto ed io mi domando chi puo' quest'oggi riuscire ad analizzarsi,a capire se stessi cio' che si fa,cio' che si compie tutti giorni,tutti gli attimi,si perchè certi comportamenti avvengono in maniera meccanica,come degli automi meccanizzati e programmati.La domanda sorge spontanea,ma viviamo la nostra vita o viviamo la vita che ci viene imposta ? E' vivere o è un sopravvivere ?
Da questi vari fattori,inizia cosi' lo studio tra la ragione; ragione di una vita piena di materialismo,di apparenze,di situazioni subbliminali,di situazioni surreali ma che appagano superficialmente il nostro io.L'essere accumunati,l'essere paragonati,l'essere o il non essere,vedi il principe Amleto che si pronunciava al  cosi' al soliloquio all'inizio della prima scena del terzo atto della sopracitata opera shakesperiana e con proprio qui vorrei soffermarmi e citarne i versi:
                                                              
                                                « Essere, o non essere, questo è il dilemma:
                                                   se sia più nobile nella mente soffrire
                                                   i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna
                                                   o prendere le armi contro un mare di affanni
                                                   e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire…
                                                   nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci esitare. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.
                                                 Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,
                                                 il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo,
                                                 gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge,
                                                 l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
                                                 che il merito paziente riceve dagli indegni,
                                                 quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
                                                 con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,
                                                 grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
                                                 se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
                                                 il paese inesplorato dalla cui frontiera
                                                 nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
                                                 e ci fa sopportare i mali che abbiamo
                                                 piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione. »


Soffermiamoci sui primi versetti per cogliere il messaggio che volevo espandere a voi miei cari lettori:
soffrire i colpi di fionda o prendere le armi contro un mare di affanni;
poi
Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali;

riflettiamo su questi versi e l'insofferenza del personaggio nel essere cio' che forse non vuole essere o non riesce ad essere ,forse per cause di forza maggiore,come si puo' immaginare per un principe,forse per causa di forza maggiore come si puo' immaginare per un padre di famiglia dei giorni nostri.
Chiudere gli occhi e non vedere,morire una morte apparente,una morte dei sensi,di nel nostro vero io,ma che ci pone lontano dalla vera realta fatta di sentimenti,quelli veri,quelli che ci fanno sentire vivi.
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione. »

Forse questo contrasto tra ragione e sentimento vi è sempre stato,forse non sara' nemmeno questa nostra vita frenetica,il fatto sta che ogni giorno,ogni momento ci troviamo davanti ad un bivio e li che dobbiamo scegliere se vivere o sopravvivere.
Vi consiglio di leggere il romanzo di Jane Austen "Ragione e Sentimento" dove l'autore amplifica ed evidenzia,il contrasto tra la ragione di Elinor e l'emotività di Marianne,personaggi dell'opera.

BUONA LETTURA MIEI CARI AMICI

                                                                                                                    ANTONIO TRAVAGLINI



1 commento:

  1. Alcuni nostri pensieri perdono la loro energia emotiva e diventano subliminali per il fatto checi sembrano poco interessanti o di scarsa importanza, oppure percxhè abbiamo qualche ragione per perderli di vista. In altri termini, una parte dell’inconscio è compostadi una moltitudine di pensieri, impressioni e immagini, temporaneamente oscurati che, lungi dall’essere dall’essere venuti completamente meno in noi, continuano ad influenzare la nostra mente conscia. Una persona che attraversa la stanza per prendere qualcosa ed ad un tratto si ferma perché ha dimenticato ciò che andava a prenndere, in un secondo tempo ricorda ciò che voleva:il suo inconscio gliel’hasuggerito.Anche le sensazioni cutanee possono rivelare simili fluttuazioni di consapevolezza:se l’attenzione si appunta totalmente su un certo oggetto, tutto l’organismo può essere completamente anestetizzato, fino a che la tensione responsabile di questo annebbiamento dei sensi non si è rilassata.Un esempio particolarmente illuminante di questo fenomeno è il caso di un professore che aveva fatto una passeggiata in campagna con uno dei suoi allievi, tutto assorto in una impegnativa conversazione. Improvvisamente notò che i suoi pensieri venivano interrotti da un flusso di ricordi della sua prima infanzia. Non riusciva a spiegarsi questa distrazione: nulla di quanto detto nella conversazione sembrava avere alcun rapporto con tali memorie.Voltandosi indietro egli si accorse di essere passato vicino ad una fattoria, e decise di diriger visi con l’allievo.Una volta giuntovi egli avvertì un odore di oche e istantaneamente si rese conto che era statao proprio esso a liberare il flusso delle memorie. Da ragazzo egli aveva vissuto in una fattoria in cui si teneva un allevamento di oche e il loro odore caratteristico gli aveva lasciato un’impressione permanente anche se dimenticata.Attraversando la fattoria nel corso della passeggiata egli aveva avvertito sub liminalmente l’odore e questa percezione inconscia aveva richiamato esperienze infantili da lungo tempo dimenticate.. la percezione era stata subliminale perché l’attenzione era impegnata altrove e lo stimolo non era stato abbastanza forte da distoglierla e da raggiungere direttamente la coscienza.A parte i fatti di normale dimenticanzaci sono numerosi casi che implicano l’”oblio” di ricordi spiacevoli, che gli individui fanno di tutto per dimenticare al più presto.Bisogna imparare a distinguere accuratamente fra i contenuti intenzionali e quelli non intenzionali della mente. I primi derivano dalla personalità dell’ego; i secondi nascono da una fonte che non è identica all’ego, ma costituisce l’”altro lato” di esso.

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