Un tempo per fare foto c’erano le fotocamere compatte per i
dilettanti, le reflex per gli amatori ed i professionisti dell’immagine,
mentre chi desiderava effettuare riprese video acquistava una
videocamera; con i telefoni si chiamava soltanto…
Nel 2013 le cose sono molto cambiate, assistiamo ad una trasversalità
di funzioni disponibili in apparecchiature anche molto diverse le une
dalle altre. Ma le domande che il neofita della fotografia si pone
continuano ad essere più o meno le stesse. Come catturo quel panorama
che mi ha lasciato senza fiato? Come fissare il meraviglioso sorriso del
mio bambino?
La fotografia bisogna impararla, questo è certo e risaputo. La
migliore e più costosa attrezzatura non potrà mai sostituire
l’intervento umano per quanto la pubblicità cerchi di convincerci. Detto
questo, però, è bene sottolineare che la moderna tecnologia può rendere
questo compito molto più semplice, trasformando complicati comandi in
funzioni intuitive, gestendo situazioni di luce anche complesse in
maniera ottimale, rendendo più ‘salda’ la nostra mano a volte un pò
tremolante, e tanto altro ancora.
Vorrei illustrare con 2 o 3 punti come iniziare ad avere confidenza con la propria macchina fotografica:
Sensore digitale d’immagine
Il funzionamento di una fotocamera digitale è molto simile a quello
di una normale fotocamera tradizionale a pellicola. Ambedue contengono
un obiettivo, un diaframma, un otturatore. Le lenti mettono a fuoco il
fascio luminoso all’interno della camera, il diaframma si apre creando
un foro di diametro variabile e l’otturatore controlla il tempo di
esposizione della luce sul supporto sensibile (pellicola o sensore in
questo caso). Questo meccanismo (diaframma + otturatore) controlla
esattamente la quantità di luce che entra e colpisce il sensore.
La grande differenza fra le camere tradizionali e quelle digitali
consiste nel modo in cui la luce viene catturata. Al posto della
emulsione fotosensibile sulla pellicola, le fotocamere digitali usano un
dispositivo elettronico allo stato solido chiamato sensore di immagini
di tipo CCD (Charge-Coupled Device) o CMOS. Sulla superficie di questi
chip di silicio di varie dimensioni, si trova una griglia di milioni di
diodi fotosensibili, detti fotoelementi o più comunemente pixel (picture
element). Ogni singolo fotoelemento cattura una porzione dell’intera
immagine.
L’esposizione fotografica
Quando si preme il pulsante per scattare una foto, una cellula
fotoelettrica misura la quantità di luce che entra nella camera
attraverso le lenti, determinando il valore di apertura del diaframma e
la velocità di otturazione, per ottenere una corretta esposizione.
In questo istante ogni pixel del sensore registra l’intensità della
luce che lo colpisce, accumulando una carica elettrica. Più intensa è la
luce, più alta sarà la carica elettrica. Alla chiusura del diaframma,
la carica di ogni pixel viene misurata ed il suo valore viene convertito
in un numero nel sistema binario (digitale). La serie di numeri
ottenuta viene elaborata dal software della camera per ricostruire
l’immagine sul display e generare un file da inviare in memoria.
Quando il diaframma si apre, la luce arriva al sensore di immagini. Ogni
singolo pixel registra solo l’intensità della luce che lo colpisce, il
colore verrà elaborato ed aggiunto dal software di controllo del
processore d’immagine della fotocamera (trasformazione RAW-JPEG).
Come nasce il colore nella fotografia digitale
Quando fu inventata, la fotografia era solo in bianco e nero. La
ricerca del colore fu un processo lungo e difficile, e per molti decenni
il colore veniva applicato a mano sulle lastre esposte.
Il primo vero passo verso la ricostruzione del colore fu compiuto nel
1860 dal fisico scozzese James Clerk Maxwell che per primo usò un
negativo in bianco e nero e tre filtri colorati, rosso, verde e blu.
Fece scattare dal fotografo Thomas Sutton tre foto di un oggetto
colorato, ognuna con un diverso filtro applicato davanti all’obiettivo.
Le tre immagini furono proiettate su uno schermo con tre diversi
proiettori, ognuno con lo stesso filtro usato per le riprese.
Quando le tre immagini furono perfettamente sovrapposte, il risultato
fu la prima vera immagine ottica a colori. Quasi un secolo e mezzo più
tardi, i sensori di immagini funzionano secondo lo stesso principio.
Tutti i colori di un’immagine fotografica hanno origine dai tre colori
primari, Rosso, Verde, Blu (RGB = Red, Green, Blue). Quando i tre colori
sono combinati nella stessa intensità, si ottiene luce bianca.
Il sistema additivo RGB è usato tutte le volte che la luce viene
proiettata per formare i colori su uno schermo, o direttamente nei
nostri occhi. Per essere più precisi, dobbiamo dire che il sistema RGB
viene usato quando si tratta di miscelare raggi di luce che accendono il
monitor del nostro PC o uno schermo TV, mentre nei processi di stampa
si usa il sistema sottrattivo CYM perché si tratta di miscelare pigmenti
colorati che sottraggono luce riflessa da un supporto bianco (la carta
fotografica).
In questo caso i colori primari usati sono Cyan (turchese), Yellow
(giallo) e Magenta (violetto), che possono produrre tutte le sfumature
di tutti i colori se miscelati in varie proporzioni. In teoria, se
miscelati in uguali proporzioni, dovrebbero generare il nero. In realtà
produrrebbero un colore indefinito bruno-grigio-scuro. Per questo
motivo, per riprodurre fedelmente i toni scuri delle immagini, nelle
nostre stampanti fotografiche è presente anche un serbatoio di
inchiostro nero.
Per riassumere, il sistema additivo (RGB) crea i colori aggiungendo
luce ad uno sfondo nero, mentre il sistema sottrattivo (CYM) usa
pigmenti per bloccare selettivamente la luce riflessa da uno sfondo
bianco.